“Mezzo pieno o mezzo vuoto, questo è il solo ed unico bicchiere che abbiamo”, cantava Max Pezzali qualche anno fa. Mi risuonano le sue parole, mentre scorro le bacheche social e provo a destreggiarmi tra i contenuti che l’algoritmo mi propone. Mi trovo davanti a quantità notevoli di post e video che parlano di benessere e pensiero positivo “a tutti i costi”, come se ci fosse uno standard – più o meno esplicitato – entro i cui confini una vita può essere definita più o meno vita, più o meno degna, più o meno al passo con i tempi. Mi attraversa la sensazione che quei contenuti vogliano in qualche modo “riempire il bicchiere”. Ma è davvero così necessario? E se invece “quell’unico bicchiere che abbiamo” avesse altre esigenze nel momento presente? Ad esempio, essere preso in mano. Oppure lavato. O ancora, svuotato per fare spazio a un’altra bevanda. Al counselor non interessa se al colloquio arriva un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Al counselor interessa il bicchiere, con le sue particolarità, i graffi dati dal tempo. E la sua forma. Perchè ogni bicchiere nasce per contenere liquidi, ma ciascuno secondo la propria natura e capacità: chi un buon vino, chi dell’acqua dissetante, chi un liquore avvolgente. Può essere che per molto tempo quel bicchiere si sia riempito di cose diverse da quelle per cui era nato. Continuare a riempire ne farà solo tracimare il contenuto. Il counseling aiuta a fare spazio. A prendere consapevolezza dei propri limiti. E a svuotare il bicchiere, perché abbia la possibilità di riempirsi di nuovi significati. Quelli dentro cui si sente più a suo agio. Laura Zanella