Non capita spesso di vedere come protagonisti di film dei personaggi anziani. Eppure, il film Fuga in Normandia, uscito nelle sale poche settimane fa, ha scelto di andare controcorrente. Traendo spunto da una storia vera, narra la storia di Bernie e Irene, una coppia anziana che sta trascorrendo l’ultimo tratto di vita all’interno di una casa di riposo. A colpire è la straordinaria capacità comunicativa e relazionale dei due protagonisti. Consapevoli dei propri limiti fisici, non rinunciano ai riti del loro stare insieme, come puntare la sveglia presto per vedere la luce dell’alba, a memoria del loro primo incontro; incoraggiarsi nei desideri reciproci; ascoltarsi e cogliere il momento più opportuno per condividere passaggi dolorosi della loro storia, nascosti per lungo tempo ma ancora molto presenti nei pensieri e nei cuori. Queste salde radici rappresentano le fondamenta di quanto i due vivono singolarmente nelle altre relazioni che vengono proposte nel film, e ne svelano la capacità di generare vita attorno a sè. Delicato il passaggio in cui l’anziana protagonista, Irene, accoglie una giovane operatrice socio-sanitaria ansiosa e con bassa autostima, ascoltandola nelle sue necessità ed entrando in confidenza con lei con delicato affetto. Altrettanto forte la paternità di Bernie nei confronti di un giovane reduce di guerra, non ancora riuscito a uscire dall’incubo di quanto la guerra avesse lasciato nella sua mente. Per la prima volta, con Bernie, il giovane sente qualcuno avvicinarsi a lui con autenticità, senza paternalismi ma indicando una direzione, spronandolo alla responsabilità e al sogno di una vita adulta e piena. Un film intriso di quotidianità, spogliato di ogni romanticismo con l’intento di dipingere l’intensità dei gesti e i frutti che possono nascere, non importa l’età, dalla condivisione custodita di desideri e valori che diventano scelte e azioni in grado di avviare processi di cambiamento. I due protagonisti insegnano questo: guardare non tanto cosa manca (il tempo di vita, ormai breve), ma a cosa si può fare con ciò che si ha a disposizione. Nel counseling succede qualcosa di simile quando, tra professionista e cliente, si riesce ad instaurare una relazione solida, basata sul rispetto reciproco e sulla fiducia. Si affrontano insieme le emozioni, i pensieri, le consuetudini e gli atteggiamenti. Grazie a un “altro da sé”, il cliente riesce a definire, come in uno specchio, il proprio presente, a valorizzarlo, scoprendo (o riscoprendo) risorse nascoste o dimenticate che gli permettono di pensarsi in termini generativi, facendo risuonare in sé la domanda: “Chi posso ancora essere, per me, per gli altri, qui dove mi trovo ora?”. Laura Zanella